Avv. Michele Orefice 07/02/2017
Ai sensi dell’art. 63 comma 4 delle Disp. Att. del Codice Civile chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questi al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e quello precedente.
Tale norma, che ha lo scopo di fornire una tutela rafforzata ai crediti condominiali, statuisce una responsabilità solidale tra il condomino uscente e l’acquirente della sua unità immobiliare, indipendentemente dal titolo con il quale si acquista il diritto di proprietà e senza nessuna distinzione tra spese condominiali ordinarie e straordinarie.
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Il nuovo acquirente condomino fin dal momento dell’acquisto risponderà dell’obbligazione di pagamento condominiale, che è classificata dalla giurisprudenza come obligatio propter rem (Cass. 12 novembre 1997 n.11152) poiché discendente dalla titolarità del diritto reale sull’immobile (Cass. 21 febbraio 1995 n.1890) e per questo il condomino non può sottrarsi all’obbligo di tale pagamento (Cass. 2 luglio 2001 n.8924).
Ciò posto, nel rapporto tra venditore e acquirente non è sempre facile per l’amministratore specificare con esattezza al nuovo ed al vecchio proprietario l’entità delle spese condominiali fino al momento del trasferimento di proprietà, soprattutto nel caso in cui le stesse spese siano state deliberate ma restano ancora da eseguire.
Ma, in particolare, ciò che rende tale situazione molto complessa, è l’assenza di un criterio dettato dal Codice Civile in merito all’individuazione e determinazione delle somme esattamente dovute, solidalmente al venditore, dal nuovo acquirente dell’immobile.
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Di conseguenza diventa necessario individuare correttamente sia gli obbligati al pagamento delle quote condominiali e sia delinearne il relativo quantum.
Occorre evidenziare, in primis che, “in materia di condominio, laddove si perfezioni il trasferimento della proprietà di un’unità immobiliare, non può essere emesso nei confronti dell’alienante, il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali. Conseguenza, questa della cessata qualità di condomino.
Ne consegue che l’obbligo di pagamento dei contributi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile, con la conseguente legittimità dell’emissione del provvedimento monitorio nei confronti del nuovo acquirente, divenuto, invece, l’effettivo condomino.
Colui che subentra nel condominio può soltanto rivalersi nei confronti del suo dante causa” (Cass. n. 12841 del 23/07/2012).
Pertanto avverso il debitore esecutato (cioè l’alienante) non può essere emesso alcun decreto ingiuntivo per morosità nel pagamento degli oneri condominiali perché, ormai, “non più condomino” (Cass. n. 23686 del 9 novembre 2009). Il criterio legittimante tale soluzione lo si ravvisa proprio nella perdita della qualità di condominio e, difatti, l’alienante non è più legittimato a partecipare alle assemblee e, di conseguenza, non è più nella posizione di poter impugnare le delibere condominiali. Ergo, l’articolo 63 Disp. Att. c.c. può, infatti, essere applicato soltanto nei confronti di colui che riveste giuridicamente la qualità di condomino (Cass. n. 23345 del 9 settembre 2008).
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Ed è sulla scorta del principio stigmatizzato in tale articolo – “anno in corso e quello precedente” – che si può prevedere e sancire che il condomino subentrato è obbligato al pagamento delle spese anche se queste siano state deliberate precedentemente al suo nuovo subentro.
Il riferimento è applicabile anche a colui che acquista il bene immobile all’asta giudiziaria, che deve, quindi, corrispondere all’amministratore le rate condominiali per l’anno in corso al tempo del decreto di trasferimento nonché per l’anno precedente.
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Per meglio precisare, la giurisprudenza è saldamente orientata a ritenere che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass., n. 20037 del 22/09/2010).
Peraltro nell’ambito della normativa delle esecuzioni immobiliari non viene espressamente disapplicato il disposto di cui all’art. 63 disp. att. c.c., che è una norma speciale la cui applicazione prevale sulla norma generale.
Nello specifico il decreto di trasferimento dell’immobile acquistato all’asta giudiziaria si limita soltanto a liberare l’immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e privilegi speciali di cui fossero stati titolari i creditori (c.d. effetto “purgativo”), ma non interferisce per nulla con le spese condominiali che, configurandosi come obbligazioni propter rem, afferiscono al bene e seguono il bene nella sua circolazione e gravano sul soggetto in quanto lo stesso si trova in una particolare relazione con il bene de quo.
La vendita all’asta, per la precisa e tassativa espressione dell’art. 586 c.p.c. (cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie) e per la natura di obligatio propter rem,non libera quindi il nuovo proprietario dal pagamento dei contributi condominiali.
Più precisamente, escludendo l’effetto c.d. “purgativo” della vendita forzata immobiliare, l’acquirente condomino deve pagare le quote condominiali ai sensi dell’art. 63 disp. att. Cc., in quanto gli oneri condominiali continuano a maturare anche in epoca successiva al pignoramento e non possono essere posti a carico del condominio (salvi gli effetti dell’intervento) proprio perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori della procedura esecutiva (Trib. Bologna Sentenza n. 1471 del 6 maggio 2000).
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E, del resto, non è consentito all’assemblea condominiale, pur deliberando a maggioranza, di ripartire fra i condòmini che sono in regola con i pagamenti, l’anticipazione delle quote per pregresse spese condominiali dovute dai condòmini morosi (Cass. n. 3463 del 21.10.1975, e ancora Cass. n.13631 del 5 novembre 2001).
Ecco perché chi compra all’asta un immobile resta obbligato al pagamento delle quote condominiali pregresse che il precedente proprietario non aveva pagato al condominio.
Appare dunque corretto che l’amministratore per il pagamento delle quote condominiali scadute si rivolga all’aggiudicatario, che dalla data di emissione del decreto di trasferimento dell’immobile è diventato l’unico proprietario.
Ecco che l’amministratore di condominio, quindi, dopo aver correttamente individuato i soggetti obbligati in solido per il pagamento delle rate condominiali, dovrà risolvere un quesito ancora più complesso.
E cioè: quali sono le quote condominiali poste, in via solidale con il condomino venditore, a carico dell’acquirente?
La questione è tutt’altro che pacifica ed abbraccia le frequentissime ipotesi in cui, per svariate ragioni, l’amministratore non si sia attivato nei termini per riscuotere le quote condominiali, con la conseguenza che quel condomino (moroso) al termine dell’anno di gestione successivo, avrà ancora un saldo pregresso imputabile alla gestione precedente e probabilmente un altro debito per la gestione in corso e così via.
Ma andiamo per gradi.
Il quesito specifico da risolvere è se l’amministratore di condominio può contabilizzare un saldo pregresso a debito del condomino nello stato di riparto dell’ultimo rendiconto condominiale delle spese e quindi prima rata del nuovo preventivo (saldo es. precedente) nonché che valore avrà tale operazione con la successiva delibera di approvazione dell’assemblea condominiale.
Prima di entrare nel merito dell’analisi occorre evidenziare che il Codice Civile all’art.1130 ultimo cv, si limita a prescrivere per l’amministratore un semplice obbligo di “rendicontazione” delle spese alla fine dell’anno di gestione, che deve essere sottoposto all’approvazione dell’assemblea condominiale ai sensi dell’art.1135 comma 3, senza specificare, però, nulla sul metodo di rilevazione delle operazioni contabili e tanto meno sul metodo di rendicontazione delle stesse.
Gli ermellini, in merito al rendiconto dell’amministratore, si sono pronunciati nel senso che “la Corte non deve risolvere la questione di diritto se l’amministratore di un condominio… debba rispondere della gestione sulla base del criterio di competenza o del criterio di cassa … (giacché) … alla scadenza l’amministratore è tenuto a restituire tutto ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio – vale a dire tutto ciò che ha in cassa – si argomenta dalla considerazione che egli potrebbe avere avuto anche l’incarico di recuperare somme dovute da condomini morosi e riguardanti la “precedente gestione” (Cass. n. 10815 del 16 agosto 2000).
L’amministratore dunque è legittimato a esigere il pagamento delle quote residue anche al termine della propria gestione annuale e, soprattutto, anche se subentri ad altro amministratore.
Per tali ragioni se il saldo a debito dell’anno precedente non è stato pagato, l’amministratore di condominio potrà regolarmente inserirlo nel successivo rendiconto delle spese.
Pertanto “il conteggio fra il singolo e l’amministratore, seppure predisposto da quest’ultimo, diviene atto proprio del condominio, una volta approvato dall’assemblea. Ne consegue così che i saldi degli esercizi precedenti rientrino a far parte integrante di quel rendiconto che, se contestato dal singolo condomino, dovrà essere impugnato nei termini di cui all’articolo 1137 c.c.” (Corte d’Appello di Genova 11 maggio 2009 n. 513).
Tale “autorevole giurisprudenza di merito ha ritenuto, sul punto, che ove regolarmente approvati e ripartiti per gli esercizi precedenti, costituiscono una effettiva posta di debito nei confronti del condominio che può essere inserita nel rendiconto annuale dell’amministratore (c.d. “consuntivo”) ed approvata legittimamente dall’assemblea, con la conseguente obbligatorietà ed ottenimento, in caso di mancata estinzione, dello speciale decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, previsto dall’art. 63 disp. att. c.c.” (G.d.P. di Giarre sentenza n. 120 del 28 febbraio).
Pertanto, accertato che il termine prescrizionale delle quote condominiali è quinquennale e che tale termine può essere interrotto sia con la notificazione di un atto giudiziale che da ogni altro atto che valga a costituire in mora il condomino debitore, come ad esempio un mero sollecito di pagamento, ne discende che, quindi, l’inserimento nel rendiconto e nel preventivo spese dei crediti precedenti e la successiva messa in mora per gli importi dovuti rappresentano un mezzo legale di interruzione della prescrizione e che, pertanto, se non prescritti, possono essere validamente richieste al nuovo acquirente dell’immobile.
Non potrebbe essere, d’altronde, altrimenti. Anche da un mero punto di vista contabile una soluzione diversa esporrebbe l’amministratore a gravi responsabilità.
Ed invero come potrebbe l’amministratore assumersi la responsabilità di non riportare un saldo passivo a carico di una unità immobiliare, nell’ambito del rendiconto condominiale, con ciò procurando un danno economico al condominio, assunto che la mancata registrazione e contabilizzazione di un’entrata comporterebbe un conseguente disavanzo in termini di stato patrimoniale e considerando che lo stesso importo del saldo passivo mancante non potrebbe, comunque, essere ripartito a carico degli altri condòmini???
Ciò porta alla considerazione della legittimità di un decreto ingiuntivo nei confronti del nuovo acquirente per quote pregresse del proprio dante causa e regolarmente, per come abbiamo visto, rendicontate.
Inoltre, cosa succede nell’ipotesi che, ancora precedentemente, sia stato emesso decreto ingiuntivo nei confronti dell’attuale venditore per le quote impagate? E’ possibile “caricare” in testa al nuovo acquirente non solo le quote ingiunte, ma anche le spese legali, monitorie, liquidate dal Giudice?
La risposta non può che essere positiva, alla luce di quanto sopra argomentato, indi, l’amministratore che abbia richiesto un decreto ingiuntivo nei confronti di un condomino moroso, che poi vende l’immobile, ben potrà imputare le relative spese legali, debitamente liquidate dal giudice, al nuovo acquirente contabilizzandole tra le passività nel rendiconto, senza rischiare alcuna censura di sorta in sede assembleare, proprio perchè dette spese legali, connesse all’unità immobiliare per relationem, devono essere inserite negli stati di riparto del rendiconto di riferimento, cioè seguiranno il bene ad ogni trasferimento di proprietà.
Non solo, a parere dello scrivente, supportato da una letterale interpretazione dell’art. 63 Disp. Att. Cod. Civ. è certamente legittima l’emissione di un nuovo decreto ingiuntivo nei confronti del nuovo acquirente che abbia quale presupposto il mancato pagamento di quote condominiali già oggetto di un pregresso decreto ingiuntivo in capo al vecchio proprietario, non ravvisandosi una violazione del principio del “ne bis in idem”.
Ciò perché nell’eventualità che il nuovo acquirente non provveda al pagamento delle quote pregresse, finanche ingiunte al vecchio proprietario, non esiste nessun altro modo per precostituirsi un titolo per agire nei confronti dello stesso, seppure (sempre) in via solidale con il vecchio proprietario, ma ciò è materia di maggior approfondimento.
Fonte http://www.condominioweb.com/nuovo-condomino-pagamento-oneri.13424#ixzz4Y27D4ghK
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